sabato 14 giugno 2008

L'albero di Yoko perde la pace...i visitatori lasciano solo desideri privati!

Il wish tree, l'installazione di Yoko Ono

La necessità cresce sull’albero dei desideri, foglietti bianchi pieni di bisogni primari: casa, salute, un lavoro nuovo e l’installazione pacifista, che dovrebbe lanciare messaggi al mondo, si stringe a dimensione tinello.
Di certo non era questa l’idea di Yoko Ono: la vedova di John Lennon ha studiato la performance nel 1990 e ha seminato una decina di alberi in giro per il mondo convinta fosse un’idea beat, eredità di quel letto sfatto in cui si è accampata con il marito Beatle davanti alle tv.
Uno dei semi è caduto a Berna, di fronte al Centro Paul Klee, museo disegnato da Renzo Piano e inaugurato nel 2005.
Il progetto Yoko Ono è arrivato due anni dopo, in contemporanea con un gemello piantato a Washington, ai piedi del monumento in memoria di Jefferson e lì, almeno il giorno dell’inaugurazione, tutti i biglietti erano peace and love.
In Svizzera, su 100 strisce bianche che sventolano, solo una ha lo stemma della pace e un’altra si spinge alla citazione dei Pink Floyd con il testo di «I wish you were here», il resto è una richiesta di futuro più piccolo e urgente ed è difficile distinguere l’egoismo dal malessere.
Manca troppo alla vita quotidiana per concedersi slanci universali, l’albero gronda di giornate sbagliate e impieghi mal pagati.

Tanti brutti ricordi da spingere nel passato grazie a giorni migliori e più che desideri sembrano lettere a Babbo Natale, quasi infantili. E’ semplicità pura scritta a matita, in lingue diverse e con lo stesso significato: desidero amore e felicità.
Una richiesta legittima, singola e chi se ne importa dell’umanità, ci sono esigenze materiali come: «vorrei una casa con i muri colorati», «vorrei diventare ballerina», «vorrei salute», «vorrei non litigare più con te», «vorrei che arrestassero e imprigionassero a lungo la persona che mi ha violentato», «vorrei che Dio vegliasse su di te fino al prossimo incontro», «vorrei campare 1000 anni», «vorrei delle belle scarpe», «vorrei che stessimo sempre insieme». Oscillano fra il dolce e il minuscolo, dall’armadio ai sentimenti, senza mai uscire dal privato.
Evidentemente un luogo difficile da costruire.

I turisti ci girano intorno, nessuno scrive prima di aver letto per un bel po’ e forse si lasciano contagiare perché, lungo il viale che porta all’ingresso della galleria centrale, quella tutta dedicata a Klee, ci si aspetta altro.

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